La Malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson (MP) è un disturbo cronico e progressivo a carico del Sistema Nervoso Centrale dovuto alla degenerazione di alcune cellule nervose (dette neuroni) situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera.
Queste cellule producono una sostanza chimica, la dopamina, in grado di trasmettere messaggi a neuroni in altre determinate zone del cervello.
Tra le funzioni svolte da questo importante neurotrasmettitore v'è l’attivazione di un circuito che controlla il movimento, la sua coordinazione, la sua fluidità; è proprio il depauperamento dei neuroni che producono dopamina ad essere la causa dei segni e dei sintomi che caratterizzano la malattia.
Sebbene l’età di esordio più frequente sia intorno ai 60-70 anni, i sintomi e i segni possono comparire a qualsiasi età, va comunque sottolineato che un esordio prima dei 40 anni è insolito e prima dei 20 è estremamente raro. I tre segni classici sono: il tremore a riposo, la rigidità e la lentezza dei movimenti che prende il nome di “bradicinesia” ai quali possono associarsi disturbi dell'equilibrio, un atteggiamento curvo della schiena con ginocchia e braccia leggermente flesse che prende il nome di “camptocormia”, impaccio all’andatura (Fig. 1).
I primi segni della malattia possono talvolta passare inosservati: una leggera sensazione di debolezzao o di impaccio nell’esecuzione dei movimenti consueti, soprattutto quelli più fini, solitamente solo da un lato del corpo; ci si accorge poi di una maggior difficoltà a cominciare e a portare a termine i movimenti alla stessa velocità di prima come se il braccio interessato, o la gamba, fossero “legati”, rigidi.
La sensazione di essere più lenti e impacciati nei movimenti è forse la caratteristica per cui più frequentemente viene richiesto il consulto medico insieme all’altro sintomo principale, tipicamente associato a questa malattia e anche il più evidente: il tremore. Esso è spesso fra i primi sintomi riferiti della malattia; di solito è visibile alle mani, per lo più esordisce da un solo lato e può interessare l’una o l’altra mano. Il tremore tipico si definisce a riposo, si manifesta, ad esempio, quando la mano è abbandonata in grembo oppure è lasciata pendere lungo il corpo. Non è però un sintomo indispensabile per la diagnosi di MP, infatti non tutti i pazienti lo sperimentano nella loro storia e, d’altra parte non tutti i tremori identificano una possibile MP.
Altri disturbi per i quali frequentemente un paziente si rivolge inizialmente al medico possono essere alterazioni della grafia che diventa diversa da quella consueta e, mano a mano che si procede nello scrivere, diventa sempre più piccola, oppure alterazioni della voce che a un ascoltatore abituale, quale è un parente, appare cambiata e viene descritta come flebile e monotona; inoltre lo stesso parente si può accorgere di una variazione dell’espressione del volto, che diviene più fisso e meno espressivo. Tutti questi segni, ma in particolare il tremore, possono essere resi evidenti o temporaneamente aggravati da eventi stressanti o semplicemente dall'essere osservato.
Sebbene quelli che abbiamo appena discusso, siano i più noti ed evidenti della MP, nonché indispensabili per la diagnosi, esiste un vasto corteo di sintomi che coinvolgono differenti apparati del nostro organismo definiti globalmente “sintomi non motori”. Spesso tali sintomi non vengono riferiti al medico perché non ritenuti pertinenti e pertanto restano misconosciuti, non trattati e inficiano la qualità di vita del paziente.
Di seguito riportiamo i sintomi non motori più frequenti:
- Disturbi olfattivi, quali una riduzione o perdita completa dell’olfatto (iposmia o anosmia)
- Disturbo comportamentale della fase REM (REM-sleep Behavioural Disorder, RBD) in cui il paziente, durante la cosiddetta fase REM del sonno, agisce, compie movimenti come se stesse vivendo il proprio sogno. A ciò si aggiunge il fatto che il sogno ha spesso un contenuto aggressivo o di paura, di fuga e ciò può portare a movimenti improvvisi che possono portare a dare un pugno o un calcio il proprio partner o a far cadere oggetti dal comodino o più raramente cadere dal letto.
- Insonnia ed eccessiva sonnolenza diurna
- Disturbi neuropsichiatrici quali depressione, ansia, apatia, deficit cognitivi
- Stipsi
- Urgenza minzionale (cioè la comparsa improvvisa dello stimolo a dover urinare), talvolta associata ad incontinenza urinaria
- Ipotensione ortostatica, ovvero la tendenza ad avere cali improvvisi di pressione al passaggio dalla posizione supina a quella seduta o da quella seduta a quella in piedi, con conseguente capogiri o, nei casi più gravi, sincopi.
- Disfunzione erettile
Tali sintomi possono talvolta precedere di molti anni la diagnosi, ma è importante sottolineare come essi siano aspecifici presenti spesso anche nella popolazione generale, per cui la loro presenza, in assenza di sintomi motori, non permette di predire la comparsa di malattia.
La diagnosi di Malattia di Parkinson è fondamentalmente clinica. Pertanto consigliamo di rivolgersi dapprima al proprio medico di Medicina Generale e successivamente ad ambulatori di neurologia dedicati ai Disturbi del Movimento, per avere un corretto inquadramento diagnostico ed effettuare, se necessario, alcuni esami di supporto come la Risonanza Magnetica Cerebrale (Fig. 3), la Scintigrafia Cerebrale Recettoriale DAT-SCAN (Fig. 4), la Tomografia ad emissione di positroni con fluorodopa; essi infatti possono essere utili per la definizione della diagnosi, ma sono in ogni caso subordinati al giudizio clinico dello specialista.
Il trattamento della MP è divenuto, in questi ultimi anni, sempre più complesso e multidisciplinare. Accanto alla terapia farmacologica sintomatica e di supporto che rimane il presidio principale, si è infatti affermata l'importanza di altri interventi come la fisiokinesiterapia, le norme igienico-sanitarie e comportamentali indispensabili per una corretta gestione dei sintomi e dei segni. Da un punto di vista farmacologico non esiste un unico e costante protocollo terapeutico per la MP; essa infatti è studiata o meglio “cucita” sul singolo paziente in tutte le fasi di malattia, ed è di volta in volta adattata alle sue esigente, alla sua risposta clinica. E’ per questo motivo che il rapporto di fiducia, di affidamento e di scambio continuo con il neurologo diviene esso stesso un presidio terapeutico irrinunciabile.
Terapia farmacologica
Il protagonista principale della terapia farmacologica della malattia di Parkinson è la levodopa (L-dopa). Come si è già detto, la morte dei neuroni che producono dopamina nel cervello dei pazienti affetti dalla Malattia di Parkinson è la causa dei segni e dei sintomi che la caratterizzano: la L-dopa assunta per via orale viene trasformata dal cervello stesso in dopamina, così da supplire a tutte le importantissime funzioni assolte normalmente da questa sostanza. La terapia farmacologica quindi non è risolutiva, ma sintomatica: serve, cioè, a risolvere il sintomo della malattia, con particolare impatto sulla rigidità e sulla bradicinesia, migliorando lo stato di benessere e la qualità di vita del paziente, e soprattutto il suo grado di autonomia nelle attività quotidiane. Accanto alla L-dopa, altri farmaci, i dopamino-agonisti, da soli o in associazione con la L-dopa, in grado di mimare esattamente la funzione fisiologica della dopamina, hanno un ruolo di spicco nella terapia farmacologica della Malattia.
Infine, gli inibitori delle monoammino ossidasi (I-MAO) e gli inibitori delle catecol-o-metiltransferasi (ICOMT) possono essere usati per migliorare e prolungare l'effetto della L-dopa.
Fisiokinesiterapia
La fisiochinesiterapia si affianca alla terapia farmacologica sin dall’inizio con lo scopo di contrastare alcuni dei sintomi della malattia e di prevenire i danni secondari conseguenti alla patologia. La riabilitazione diventa infatti un costante e sistematico “riallenamento” al movimento, con il quale si cerca di contrastare la lentezza, la scarsa fluidità e la mancanza di coordinazione utilizzando la ripetizione di diversi esercizi ben finalizzati e molto semplici anche da eseguire autonomamente a domicilio (Fig. 5). La rigidità e il rallentamento motorio inoltre comportano alterazioni posturali, della deambulazione e dell’equilibrio in generale, con ripercussioni anche a livello della colonna vertebrale e delle singole articolazioni che si “fissano” in posizioni viziate. L’esercizio mira a correggere questi atteggiamenti e a prevenire l’insorgere di patologie dolorose a carico dei vari segmenti ossei.
Norme igienico-sanitarie
Nella malattia di Parkinson l’importanza della dieta (Fig. 6), non intesa come sacrificio o privazione, ma come un regime alimentare atto a mantenere un soddisfacente stato di salute, è ormai nota a tutti. Alla base dell’efficacia della L-dopa, infatti, vi è il suo assorbimento a livello intestinale e tutto quello che interferisce con questo processo può portare ad una riduzione della quantità di farmaco disponibile a livello cerebrale, riducendo di conseguenza l’effetto della terapia stessa. E’ per questo motivo che una regolare motilità intestinale (di per sé rallentata nel paziente con Malattia di Parkinson) e una dieta ipoproteica a pranzo possono migliorare l’efficacia della terapia farmacologica; allo stesso modo è importante una corretta idratazione bevendo circa 2 litri di acqua al giorno. Una dieta equilibrata, inoltre, diventa condizione fondamentale per il benessere dell’individuo, anche al di là dell’assunzione della terapia, allo scopo di diminuire il rischio di malattie metaboliche (colesterolo elevato, diabete, gotta), di malattie cardiovascolari e di malattie a carico del sistema osteo-articolare che possono incidere ulteriormente sulle difficoltà quotidiane lamentate dai pazienti.
Terapie di fase avanzata
Dopo alcuni anni di buon compenso della sintomatologia, il malato di Parkinson può entrare nella cosiddetta “fase complicata” di malattia, gravata da due fattori che agiscono contemporaneamente sul paziente: la progressione stessa della malattia e gli effetti collaterali delle terapie orali croniche, soprattutto quelle con levodopa. Il risultato è una riduzione dei benefici della terapia farmacologica con necessità di aumentare progressivamente le dosi e il peggioramento degli effetti collaterali dei farmaci: il paziente vivrà durante la giornata fasi di buon compenso motorio alternate a fasi, sempre più frequenti, di blocco motorio, peggiorati dalla presenza di invalidanti movimenti involontari. In questa fase è quindi necessario ricorrere a presidi terapeutici più invasivi ma che possono garantire al paziente una buona qualità di vita:
- Pompe di Infusione di Apomorfina (Fig. 7): è un farmaco noto per il suo effetto antiparkinsoniano molto rapido che se somministrato attraverso una pompa di infusione sottocutanea continua permette di ottenere un buon controllo dei sintomi motori, costante durante la giornata;
- Infusione intraduodenale di Levodopa (Duodopa Fig. 8)): è una formulazione in gel ad altissima concentrazione della levodopa stessa, che viene somministrata continuamente e direttamente nell’intestino (duodeno) del paziente, attraverso una gastrostomia percutanea (PEG: operazione che permette l’inserimento di una sonda a livello dello stomaco attraverso la quale si può erogare il farmaco dall’esterno azionando un dispositivo dato in dotazione al paziente stesso). Ciò può permettere di ottenere un ottimo compenso motorio, costante durante la giornata, utilizzando dosi più basse di farmaco, proprio perché questo viene erogato direttamente nell’intestino, dove viene normalmente assorbito;
- Stimolazione cerebrale profonda (DBS Fig. 9): prevede l’utilizzo di elettrodi che vengono posizionati, attraverso un intervento chirurgico, in determinate strutture situate profondamente nel cervello e deputate al controllo dei movimenti. Gli elettrodi, dotati di contatti metallici che emanano specifiche frequenze, possono essere controllati dall’esterno: è possibile quindi modificare la frequenza di stimolazione, o addirittura spegnere i contatti, se necessario, fino ad un perfetto controllo dei sintomi motori.
La MP è comunque solo una delle sindromi parkinsoniane o “parkinsonismi”, termine generico con il quale si intendono sia la MP stessa che tutte le sindromi che si manifestano con sintomi simili pur discostandosene per altri, spesso fondamentali per la diagnosi differenziale. Riassumendo, è possibile distinguere, all’interno di questa ampia famiglia di patologie:
- MP idiopatica, della quale abbiamo ampiamente parlato nelle sezioni dedicate;
- Parkinsonismi monogenici: rare forme di parkinsonismo causate da determinate mutazioni di geni singoli, a trasmissione mendeliana, in genere legate ad un esordio precoce e a carattere ereditario;
- Parkinsonismi sintomatici: tutte le forme di parkinsonismo in cui la causa è nota ed identificabile, talvolta trattabile. Tra queste sicuramente le più comuni sono rappresentate dal “parkinsonismo vascolare” in cui il sovrapporsi di piccoli infarti in specifiche aree cerebrali determina manifestazioni cliniche simili alla MP; parkinsonismo da farmaci, soprattutto antipsicotici di vecchia generazione assunti per lungo tempo; parkinsonismo dovuti ad alterazioni della dinamica liquorale nelle quali un eccesso di liquido negli spazi che circondano il cervello causa sintom simili alla MP associati ad altri più caratteristici;
- Parkinsonismi atipici o “plus”: la denominazione si deve all’evidenza che queste patologie, spesso molto diverse tra loro, sono accomunate dalla presenza più o meno costante di sintomi e segni che ricordano la MP, dalla natura degenerativa e dal decorso cronico-progressivo. Tuttavia, ciascuna di queste presenta una propria caratteristica precisa che la distingue dalla Malattia di Parkinson, il cosiddetto “plus”. E’ proprio questo “plus”, questa atipia, che è di grande aiuto nella diagnosi differenziale con la Malattia di Parkinson che, tuttavia, può essere spesso molto difficile o anche impossibile all’esordio dei sintomi. Non esistono marcatori biologici che consentano di formulare una diagnosi certa, e pertanto la presenza e la progressione nel tempo di diverse caratteristiche del quadro clinico costituiscono gli elementi principali per una diagnosi corretta. La conferma diagnostica si può avere solo effettuando l’esame neuropatologico post-mortem. In genere, comunque, queste patologie si caratterizzano per un’evoluzione clinica più rapida rispetto alla più MP, oltre che da una peggiore risposta alla terapia dopaminergica, che determina di conseguenza una prognosi funzionale più invalidante. Le tre forme principali di parkinsonismo atipico sono rappresentate dall’atrofia multi sistemica (MSA), dalla paralisi sopranucleare progressiva (PSP) e dalla degenerazione corticobasale (CBD).